Il mio cine-venerdì: spero che possa continuare sempre, per ora posso permettermi di passare un pomeriggio intero al cinema, a vedere due film di quelli a cui non mi accompagna nessuno, e per i quali sono in effetti contento che non mi accompagni nessuno. Si va da solo, si pensa da solo, si assiste da solo al miracolo che ad ogni pellicola mi cattura, mi lucida l’anima, e mi fa sentire vivo. Parlo del cinema, della scrittura di luce, delle immagini che rimangono su una retina addormentata dai grigi spettacoli della metropoli compulsiva.
Una settimana fa ho visto Milk, di Gus Van Sant, e Valzer con Bashir, di Ari Folman. E sono felicissimo di averlo fatto.
Il primo racconta la carriera e l’uccisione di Harvey Milk, il primo gay dichiarato ad entrare in politica, interpretato (neanche lo dico magnificamente, ormai è assodato) da Sean Penn. E’ ironicamente atroce vedere quanto sia cambiato nel panorama mondiale verso le cosiddette “minoranze” e quanto invece, sentendo parlare i trucidi schifosi ai bar di Roma, o qualche triste mentecatto di periferia o del centro “bene”, tanto è uguale, si ascoltino ancora pensieri riassumibili in “meglio morto che gay”. Detto ciò fa sempre bene vedere un bel cast, un’ottima qualità recitativa, ed un pezzo di storia che a volte viene fuori solo con pellicole celebrative di cui si ringraziano sempre gli ottimi sceneggiatori americani (lo so ce l’ho sempre contro il nostrano ma non riesco a ricordare tanta bella scrittura cinematografica italiana). Era un periodo, quello degli anni ’70, di cui spesso, pur con la piena consapevolezza che visto il mio carattere sarei stato schiacciato dagli aventi (ma in fondo non si sa mai cosa può tirare fuori un contesto così movimentato), di cui spesso ho nostalgia. E non ero ancora nato!
Valzer con bashir si schiera dalla parte delle meravigliose tecniche d’animazione recenti che possono tirare fuori dalla realtà, colorandola in maniera diversa, tutto un nuovo senso, e dunque una nuova poesia. Quando vi accorgete che cosa richiama il titolo verrebbe veramente voglia di gridare quanta bellezza si sia ancora in grado di riassumere, anche prendendo la guerra come contesto. Se avete un poco prsente il Richard Linklater di Waking Life capite di cosa parlo. E’ come essere cullati da un nuovo modo di vedere il mondo. E poi, anche qui, è un ottimo modo di andarsi a ripassare un po’ di storia (veramente, più che ripassare: studiare, visto che non conoscevo nulla del massacro di Sabra e Shatila, durante la guerra del Libano del 1982). Vorrei rivederlo. Bello davvero. Perché bello? Perché insieme via da tristezza, lucidità agli occhi, crudeltà, meraviglia nel raccontarla, nozioni storiche, nozioni cinematografiche. Volete altro? Spero di no.
A proposito della storia del film, così la ripasso mentre la scrivo: nel 1982 il presidente libanese Bashir Gemayel viene ucciso, e le milizie cristiano-libanesi, costituite essenzialmente dai Falangisti ed alleate di Israele, massacrano per vendetta uomini, donne e bambini dei campi profughi beirutini di Sabra e Shatila. Questo è il nocciolo della storia che il regista Ari Folman, anch’esso parte della storia animata, cerca di ricordare attraverso interviste ad ex commilitoni, fino a tirare fuori dalla sua amnesia la tragica partecipazione a quella strage, in cui i militari israeliani, di guardia ai campi profughi, non intervennero.
Potenza del cinema, bellezza del guardare, desiderio di ricordare (sapere).
p.s. oggi altro cine-venerdì, poi vi dico…